Da L’amore in forma chiusa di Roberto Piumini, Il Melangolo Editore 1997, Copertina di Renato Guttuso
Come l’incerto passo si perdona
al piccolo che prova a stare dritto
ma molto spesso ancora sgattona
perchè di riposare ha il diritto,
o al malato, che la malattia
si sente affievolire nelle membra
e con prudenza, camminando, spia
la forza che tornargli dentro sembra,
così bisogna che sia perdonata
questa mia goffaggine di amante,
l’incespicare della mia allegria:
ancora non ti ho bene imparata,
non ho capito quali e quante
perfezioni il tuo amore dona.
In quattordici versi solamente,
poiché la tradizione così vuole,
voglio parlar di te compiutamente:
come si dice, in poche parole.
Intanto sono già ridotti a dieci:
occorrerà una sintesi più forte:
invece di “preghiere” dirò “preci”,
cesellerò immagini più corte.
Me ne restano sei, ma sufficienti:
non ne dovrebbe occorrere di più
se sono versi fervidi e stringenti.
Tre versi possono essere un bijoux,
basta vedere i componimenti
di Dante, o di Petrarca. Tu sei tu.
Mi chiedo spesso se, per gelosia,
io ti potrei odiare, anche un poco:
ma non trovo risposta che sia chiara
e resto lì, stordito di mutezza.
Non è la sicurezza che sei mia
a far fallire questo strano gioco:
la prescienza d’odio è troppo amara
quando si cova un’interna dolcezza.
Prego qualunque Dio si possa sentire
che io non scordi mai questo favore,
quest’abbondanza rossa e benedetta:
il mostro che sarei non so capire
se, dopo il tempo acceso dell’amore,
covassi i freddi semi di vendetta.
Fermo nella stazione del tuo arrivo
ho molto spazio libero per gli occhi:
il cielo cui gli uccelli in ampio volo
trapuntano la chiara lontananza,
nell’estensione del gran prato vivo
il misterioso dove dei ranocchi,
il vento svelto che spettina il suolo
e l’orizzonte, distesa abbondanza.
Invece guardo con ansia curiosa
la doppia linea netta del binario
che schizza parallela, pura e tesa:
contemplo questa pista luminosa
su cui, rispettando un dolce orario,
arrivi senza errore alla mia attesa.
Ammesso che sia un numero discreto
quello dei tuoi capelli, amica mia,
non l’incommensurabile e segreto
quantico flusso di una nostalgia,
vorrei avere dita tanto fini
e tocco così duttile e perfetto
da carezzarli ognuno, quando chini
la nuca, addolcendo il corpo eretto.
Invece, quando accanto io ti siedo,
non posso, con le mani che possiedo,
far altro che toccarli in generale:
come lo sguardo che sulla foresta
si perde nella verdità e non resta
su di ogni foglia, in particolare.
