AFTERMATH
Alessandro Canzian
Verso dove
La grafite che ha scritto
per tutta la vita
ora tace la parola più bella
il granello di brace
sepolto nel suo buio.
Bartolo Cattafi
Il cartoccio del latte e le campane.
Gli stracci nella stanza.
La gatta che da fuori la finestra
vuole la colpa
d’essere l’unica a mangiare.
La stufa accesa. Le calze colorate.
Dai finestrini sporchi il freddo.
La neve in mezzo ai campi.
Il paesaggio sa di case
e di cose che non tornano.
Sono cose anche le persone
che nel freddo non respirano.
Le travi di freddo e neve
alla stazione di Ferrara.
La troppa chiarità non mostra
nulla, i filari non scandiscono
i binari, Dio non lo puoi
guardare nemmeno di spalle.
E così si arriva al mare.
Alle ciminiere alte una maceria.
La ragazza che legge Hemingway
ha negli occhi lo stesso verde
che s’ammuffisce contro i muri.
Pare un tempo che non passa.
Un sorriso. Una facile stagione.
La ragazza ha le calze lunghe
e le labbra che sanno d’alcool.
Altri si tengono per mano.
Più in là una svendita d’usato
fa da memoria
da mercato, per cartoline. Una,
forse rumena, legge le carte,
come tutto fosse conoscibile.
Le icone di San Giorgio
E cuan’ che tu sarâs già muart, ma muart
chês tantis voltis dentri une vite
ch’a si à di murî, alore slargje ben i tiei vôi
a la cjavece dal sium
e clame cun te ogni bielece ch’a ti bisugne
e intal rispîr di chel mont, met dentri il to
Pierluigi Cappello
Anche oggi ho le mie ossa rotte
in mano, i serramenti sfasciati
dei tendini, i legamenti strappati.
Trovo ancora le cimici per terra
tra i capelli che erano dolci
e i piatti da lavare. Dio
potrebbe anche non accorgersi
di questo vuoto dietro al cuore.
Le icone di San Giorgio, il ferro
da stiro da posare e il folium
di Federico, e ho ancora il freddo
quando mi sveglio, nei polmoni,
la pioggia nel balcone, il ratto
che ogni notte mi osserva
dall’altra parte della strada.
Scrivere non basta a esorcizzare
le paure, nemmeno le colpe.
Guido dice che dopo una bella
poesia c’è meno dolore, da dire.
Che la fame delle braccia è in
fondo simile agli abbracci.
Ma la gola brucia a parlare
come un macello dentro al cuore.
Aftermath
Avrebbe minacciato un benzinaio
con la pistola carica
di un proiettile d’oro.
Cineasta e poeta, orafo e orco!
Ma cosa contestare a quest’accusa,
l’arma o la sua pallottola?
Santa Romana Chiesa o l’usignolo?
Quel colpo mai sparato traversa la sua opera
piegandola ad un duplice ossimòro,
fantastico fantasma di violenza
e pietà, di sangue e alloro.
Valerio Magrelli
Siamo tutti colpe, sai, quando
annotta e i libri non bastano,
nemmeno i corpi, le mani
che toccano senza aversi,
quando il letto è un divano e
fuori non è il mondo, non è
il sesso delle case dai colori
smorti, che non ti piacciono.
Siamo tutti colpe e redenzioni.
La parola cercata e non capita
in un solo giorno, è
il monolocale di ciò che resta
dei graffi, dei capelli, delle
suture alle ginocchia
o delle dita che si slogano
come foglie innamorate.
Siamo dei lacci vecchi di scarpa
che prima o poi si spezzano.
Scelgo la pagina del giorno,
la nebbia di Maniago, cito
Magrelli per pensare a
Pasolini, che tutto è buono
quando dice il vero, anche
una crudeltà, una disoccupazione
della mente.
Oggi mi è morto un uccellino
dagli occhi neri e gonfi.
Le voci non bastano e nemmeno
il corpo, i rami delle braccia, le
alluvioni delle gambe che
non sanno dove andare, straniere
a se stesse, musiche stonate
di più quando sono nude.
Eppure la nudità è un senso
quasi dicembrino del vero, è
un’altra pioggia, un altro inverno.
Ho una voce di vuoto in gola.
Una chiarezza buia, uno spazio.
Ho una pozzanghera nel cuore
dove tu più non ci cammini
-con le tue caviglie
snelle come grandine-
Ho una stagione arrugginita
negli occhi, in attesa di cosa.
Fa preghiera
Adesso fa notte – fa preghiera.
Apre le serrature del silenzio
fa apparire la mappa siderale
e ci inginocchia per quello spazio immenso
fra qui e l’orlo
del cominciamento
quando le spine dorsali
stanno tutte stese.
Mariangela Gualtieri
Fa preghiera ogni giorno
il tuo nome, come la strada
dopo il temporale. Anche Maniago
fa preghiera, l’ululato
del cane lontano, innamorato
d’una luna diurna
cupa e ferrosa, fonda, come
s’immaginano le mani, di Dio.
Anche un rumore di finestre
sbattute può essere parola.
Il rumore di una donna in filigrana.
Anche i panni stesi e gli abbracci
da lasciare ad annottare
fanno un camminare nella sera
che ne ricuce il senso, vuoto.
Dire padre è solo l’ultimo
scalino della razza, umana,
è il giro della chiave.
Eppure il padre è questo buio
che s’invoca, quest’orrore
sempre alto e questa fame
che tutto assolve. Questa fame
che ci chiede redenzione.
Four love poems
Questi sono giorni oscuri,
giorni di erba nera, sono giorni
di pazienza senza aria
e di stufe che non scaldano.
Sono giorni disattesi
tra secoli e capelli. Sono giorni
che non ricordano il tuo bene.
Mi piace la parola minimale.
Mi ricorda la tua schiena, le tue
spalle da scoprire e il tuo
sesso, dallo svelamento chiaro
eppure con tristezza. Credo
sia questo il senso dei ricordi.
Un minimale tra gli assenti, persi.
La dolcezza e il passo, l’odore.
Se mi chiedessero cosa provano
le mie mani alla tua assenza
direbbero esse stesse che è la pelle
ciò che più mi manca, il fiato
dei capelli, l’orrore degli affetti.
La colpa non basta a cancellare
come dovrebbe la tua mancanza.
L’amore è fatto anche di tragedie.
Di stagioni che non passano.
L’amore resta all’abbandono,
alle bugie dette per tornare
a un’altra vita. Disse bene
Catullo che l’offesa
fa provare meno bene, ma più amare.
Autobiografia
Ho appena realizzato che per tutte
le donne della mia vita sono stato
sempre inadeguato. Per la prima,
donna nera d’orgoglio e di dolcezza,
per la madre di mio figlio, triste
d’avermi conosciuto e per l’ultima
donna che ho in pena d’aver amato.
Per tutte ciò ch’era perfetto
s’è tramutato in niente, in un non basta.
E alla fine ci credo pure io, preso
nell’aspra convivenza con me stesso.
Sono così stanco di fare la
guerra. Voglio due piccoli piedi
di neve sul cuore, delle dita
abituate alle carezze sulla
bocca, come a baciare, voglio
un attimo di pace, quattro minuti
e ventisette secondi che sia
giusto il tempo di pregare.
Giusto il tempo d’incontrare.
A volte mi chiedo cosa sia
questa poesia. Una piastrella
rotta, un pavimento infangato
per le scarpine d’un bambino
che così s’è meritato
le sgridate della madre. Ma
è anche la bugia, il tradimento.
È quel tanto di verità lasciata
al tempo, che fa di tutti uno.


sto ricevendo alcune critiche ai testi ultimi inseriti – in particolare all’ultimo – non si tratta di una confessione di tradimento, nè di ritorno a fantomatiche altre vite, nè di un’accusa ad altri nonostante la tristezza del momento espresso – è solo una variazione sul tema catulliano che bene identifica la differenza tra bene e amore in una separazione – in realtà tutte queste poesie giocano, o almeno così tentano, sull’assenza di una reale biografia – sono riflessioni sul tema della grazia (o della redenzione) e della perdita – Guido Cupani in maniera molto intelligente dice che le chiuse sono spesso deboli, non efficaci – e in realtà questo ho cercato, la non efficacia, ma l’essenzialità prosastica – il tema credo questo chieda
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Che dire, potrei semplicemente dire bella Poesia, ma è ancora di più, mi è arrivata dalla radice dei capelli e fino alle piante dei piedi.
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Grazie mille
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Alessandro, una domanda, sono tutte tue queste composizioni o anche di altri autori/trici?
Sono veramente molto belle.Grazie.
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Si mie – un lavoro di questi giorni a parte le prime – grazie
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Continuo gli inserimenti dei testi che man mano mi vengono, in questo periodo estremamente fertile a livello scrittorio – non tutto rimarrà, ovviamente – anzi forse una bella sfoltita sarà oltremodo necessaria – considero questo spazio una sorta di diario in fieri – solo un laboratorio verso un libro (forse)
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Che piacere leggere quello che scrivi!
ha ragione Guido, sai? dopo una bella poesia, può darsi che davvero, non ci sia altro da dire. Quello che è certo è che l’inquietudine si stempera, anche se non ci speravi, tutto appare più sopportabile!
Un caro saluto a te.
Annamaria
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Grazie Annamaria – si Guido è un amico molto intelligente
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La tua penna mi ha sfamato. Parecchio.
Un saluto, Jonathan.
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Grazie
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