A volte fa bene tornare ai maestri, a quei poeti che hanno fatto la storia della letteratura non tanto perchè qualche critico ha definito che sono grandi poeti, quanto perchè ci sono stati altri poeti che hanno attinto dai loro libri per scrivere ancora poesie. Attilio Bertolucci è stato un poeta delicatissimo, romanziere in versi seppure questa definizione vada stretta per la tenera poesia che emerge anche laddove l’intenzione è un racconto al modo antico. Leggendolo, per ricollegarmi al discorso dei maestri, ho riconosciuto fortissimo il legame tra un testo di Bertolucci e un testo del mio amatissimo Benzoni.
Bertolucci scrive: Entrando nel tunnel verde calpestando la terra / chiazzata di violetto – le ombre / sono colorate o sono le spoglie / del glicine ancora qui da noi – pensavo // d’andare incontro al fresco del mattino / a occhi vivaci / a un virile fervore a forni accesi / allegramente riducenti in faville ultima notte – // ma uscito fuori era il calore / del giorno e io / costeggiavo una messe inutile e vuota / una sonora segale selvatica // incrociavo snervati adolescenti imperiali procedevo / in pieno sole solo. / Avrebbe mai il mio sguardo / incontrato montagne azzurre per la distanza // la mia sete trovato acqua scaturente da rocce? (da Sguardo d’inverno).
Benzoni scrive, anni dopo: Eppure può essere che entrando in un tunnel / qualcuno ne intraveda / più in là una chiarità assoluta (da Numi di un lessico figliale, l’ultimo libro di Benzoni si intitolerà poi Sguardo dalla finestra d’inverno).
Un poeta classico Bertolucci, per volontà e morbidezza dello sguardo. Un poeta al modo antico. Da leggere e rileggere.
Vento
Come un lupo è il vento
che cala dai monti al piano,
corica nei campi il grano
ovunque passa è sgomento.
Fischia nei mattini chiari
illuminando case e orizzonti,
sconvolge l’acqua nelle fonti
caccia gli uomini ai ripari.
Poi, stanco s’addormenta e uno stupore
prende le cose, come dopo l’amore.
Antico Testamento
Una pecora lasciva e sporca.
Una ragazza ebrea bionda riccia
le faceva brucare rose e gigli.
La pecora all’improvviso
mordeva le gambe della ragazza.
Il rosa, il giallo e il pallido viola…
Il rosa, il giallo e il pallido viola
di questi fiori autunnali al fuoco
calmo dei giorni il celeste
mese consuma, i tuoi occhi piangenti.
E l’ora mattutina non li asciuga
con la brezza improvvisa che le foglie
deboli muove, il tuo pianto
non si placa, è la brezza che tace.
L’oltretorrente
Sarà stato, una sera d’ottobre,
l’umore malinconico dei trentotto
anni a riportarmi, città,
per i tuoi borghi solitari in cerca
d’oblio nell’addensarsi delle ore
ultime, quando l’ansia della mente
s’appaga di taverne sperse, oscure
fuori che per il lume tenero
di questi vini deboli del piano,
rari uomini e donne stanno intorno,
i bui volti stanchi, delirando
una farfalla nell’aspro silenzio.
Non lontano da qui, dove consuma
una carne febbrile la tua gente,
al declinare d’un altro anno, fiochi,
nella bruma che si solleva azzurra
dalla terra, ti salutano i morti.
O città chiusa nell’autunno, lascia
che sul fiato nebbioso dell’aria
addolcita di mosti risponda
in corsa la ragazza attardata
gridando, volta in su di fiamma
la faccia, gli occhi viola d’ombra.
E viene un tempo…
E viene un tempo che la tua persona
si fa maturando più dolce, si screzia
il tuo volto di bruna come i fiori
che ami, i garofani e i gerani
dell’umida primavera di qui.
Gli anni sono passati, sull’intonaco
inverdito di muffa luce e ombra
si baciano, a quest’ora che volge,
con tale disperata tenerezza
il tempo prolungando dell’addio.
Di settembre
Ma il rumore ultimo del giorno,
trama incerta sul fondo
azzurrino dell’aria che in fumi
stinge qua e là ormai lietamente
per chi torna da un orizzonte di viti
e la sua voce si congiunge a quelle
della casa nel punto così dolce
che finiscono i campi che cominciano…
Ma il rumore nel buio è già silenzio.
La cavatrice di patate
O cieca raccoglitrice che celi intera
metà della tua faccia anziana
sotto la tela bianca del fazzoletto annodato,
che impolveri metà della tua mano
con una terra che sgretoli invano,
non lasciare, se il giorno dura a lungo,
d’assolvere alla tua mansione, fa’
che la tua tenebra si confonda
con la nostra là dove piana e colle
s’abbracciano ugualmente affaticati,
tendi a quel punto incerto cui io tendo.
Viaggiando verso la primavera
ho incontrato il mare grigio sfiorito di mimose
mi sono adattato
ho assolto con pazienza al mio mandato –
dal mare grigio un occhio di luce mi chiamava
spostandosi mi turbava visibilmente
la mia faccia infiammava
quella vita mobile facendosi sera sulle acque.
Canto IX
I primi anni di vita passano
veloci: il bambino si sveglia
e mangia e poi dorme e poi si sveglia
ancora, e se è malato muore oppure
guarendo è diverso, i suoi occhi
vedono le persone e le ringraziano
di stargli vicino nella solitudine
d’un giorno di luce calma e di grande
silenzio attorno. Antognano
è fresca, le mattine di giugno,
nell’abbraccio del Cinghio
florido di gaggie, ventilata
dal giardino di magnolie, di muse
e di limoni, di gerani e di rose
il cui profumo si confonde a quello
della mamma che nella stanza aperta
si muove, dimentica di lui, riflessa
in uno specchio lungo che stormisce
di foglie, s’accende al sole caldo,
già vicine le nove, entrata
e uscita un’ape e una breve paura
in Maria che si ricorda di lui
da lungo tempo incantato a guardarla
zitto dal suo lettino d’ottone.
Canto XXXIV
Maria è morta all’antivigilia
di Natale, perduta la conoscenza dopo
aver accusato un forte
dolore alla testa, appena sveglia,
a mattina avanzata,
la piccola cameriera operosa in silenzio
nella stanza vicina, aperta
brevemente, per dare aria, al sole d’inverno.
Un giorno così calmo, feriale,
all’imbocco della follia natalizia,
i mandarini già impregnanti tutto
il non grande appartamento…
La cameriera non si rende conto
(è giovane, non ha esperienza),
si reca senza fretta in cucina dalla cuoca.
Pina accorre, guarda la signora
distesa, guarda la camerierina
che finalmente ha capito, è spaventata,
presa da un tremito come se
a lei, che per ultima
parlò alla signora,
si potesse dare la colpa di quanto stava accadendo.
Dalla finestra delle stanze dei ragazzi
già ravviata e composta,
senza più l’odore delle sigarette di Ugo,
entra il brusìo della giornata lavorativa
ma più intensa di traffici dell’usato.
Le due donne si fissano
senza parlarsi, intente e estranee
a quanto matura nella camera da letto,
in un silenzio rotto a tratti per gemiti venuti
da un’infinita distanza.

Davvero una poesia delicata….mi piace moltissimo questa scrittura….
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