Alcune nuove poesie scritte in queste settimane.
AC
***
Dieci minuti di felicità
costano sempre dieci giorni
di dolore, a tutti
Cit.
Ubriaco la maggior parte del
tempo ho interrogato Dio
nello scarafaggio spezzato.
Lui ha confessato d’essere
solo un buio, un accidente.
«Siete, così soli che non so».
Dio il secondo giorno venne
a pugni chiusi a battersi
fra le tende. Sangue
su sangue, cartilagine e carne.
Era un Dio vendicativo
e geloso dell’amore gettato
ieri accanto a un braccio.
Si parla d’incanto con Graziella.
«Scialla» ho sentito mentre
camminavano due ragazzi a
mezzanotte nel parco. Vivere
è la pena di sentirsi vivi
con un braccio spezzato.
Il terzo giorno non era più
Lui. «Non chiamarmi Dio
né uomo, nella mia fame
di scarafaggi». Ogni
respiro è una vita che non
sa, e non torna.
Il quarto giorno gli chiesi
il sapore del bene se
mai esiste. «Ne ho
certamente sentito parlare
da bambino, in una storia».
Lo sguardo stanco, di Dio.
Hai gli occhi aperti o sbarrati?
L’orrore tenero un sorriso
fra le gambe a penzoloni
contando i sassi per strada.
Strappiamo i fili d’erba
come unghie dalle dita.
Il quinto giorno venne e scrisse
a terra i nomi dei morti
che ricordava. Uomini e donne
che aveva conosciuto e che
non sapevano parlare.
Ora, assieme nel niente.
Dicono che scrivere poesia
serva a dire che ci siamo.
A me l’ombra lunga in cui
m’hai gettato come metastasi
improvvisa. Il cuore
non dissimile a un cancro.
«Non siete fatti per capire»
disse un giorno Dio
slacciandosi le scarpe. Il
cammino è la sua perdita,
il cuore un infarto,
la vita una sottrazione.
Il settimo giorno Dio
si trovò solo. Ricordava
il tempo del risveglio e del
riparo. Le gambe spezzate
non conoscono la fame,
non riconoscono la sete.
Siamo la rondine sbrecciata,
il bene che resta fuori.
Il cielo non è la terra né
viceversa. Trasmutano
i coppi d’un tetto la
neve d’agosto, morbida
come un gattino morto.
L’ottavo giorno gli chiesi
la bellezza. Mi raccontò
di Lucifero nella radice
d’un tempo gelido ed eterno.
Catalina non lo degnò
nemmeno d’uno sguardo.
Il nono giorno rimanemmo
in silenzio, io e Dio.
«Usami come uno straccio
da cucina», disse lui.
Per anni la cucina
la lasciai così com’era.
Un fiore bianco commuove
dice Graziella stamattina.
Un’amica d’infanzia, una
sorella, antica.
Siamo un tutto a termine
finito prima di capire.
L’ultimo giorno Dio non venne
come promesso. Un giorno
di cimici ed insetti a dire
il paesaggio. Il linguaggio
rancido dei vivi. Questa
canzone non ha più parole.