Qualche riflessione personale su In absentia – 24.06.2023 – aggiornato al 3.08.2023

Ieri è stata una giornata importante, una di quelle che ti restano nell’animo. La giornata giusta per mettere un punto a In absentia dopo tre anni di lavoro. Quel che era cominciato tra il 17 e il 21 agosto 2020 con i primi versi post-Condominio:

Ubriaco la maggior parte del tempo

ho interrogato Dio

nello scarafaggio spezzato.

Lui ha confessato d’essere

solo un buio, uno sbaglio.

«Siete, così soli che non so».

Si è poi trasformato in una riflessione sul linguaggio a partire da Exfanzia di Magrelli (ne ho scritto qui), opera terribilmente rappresentativa del nostro tempo. Cos’è il linguaggio se non un riflesso troppo nitido della nostra società? Un ritorno? Ecco quindi dei versi che nascono senza mezzi termini da Kundera, dalla Storia:

L’anziano al di là della strada

taglia l’erba non dissimile

al verme che schiaccia.

Una voce al balcone.

Un occidente prigioniero.

Passando per l’occasione di un evento mancato (Lingue mute, poeti contro la guerra, Parrano, 27 aprile 2022) di Luigia Sorrentino. Mancato perché alla fine, preso dall’imbarazzo, non ci sono andato ma per il quale ho tentato uno scritto per me atipico, sulla guerra, o meglio sugli uomini in guerra (motivo dell’imbarazzo, in effetti):

L’uomo è lupo all’uomo

e iena e rana e cavallo

come quel cane che corre

senza zampe nel fossato.

Noi siamo qui a spararlo

per la carta di ritorno

mica a tenerlo.

Un buco tra le costole.

Nessun uomo è solo in guerra.

Alla fine l’opera si è ribaltata, la fine è diventata l’inizio, l’io una cosa marginale da lasciare in chiusa. Ma in fondo questo deve fare la poesia, marginalizzare il suo autore per abbracciare la collettività, la società. Come stiamo oggi? Cosa viviamo? Chi siamo?

Sia ben chiaro, non intendo taluni percorsi che oggi emergono e che contestualizzano nella storia il poeta o determinati poeti. Sono nato nel 1977 e ricordo l’invasione dell’Iraq, la caduta delle Torri gemelle, ma non sento alcun legame con quella storia (si legga il bell’articolo sulla questione di Roberto Cescon su pordenoneleggepoesia, QUI).

Io credo oggi la poesia debba domandarsi la precarietà delle nostre esistenze in una Storia che corre e si disfa, e che ci lascia indifferenti non si sa se per autodifesa o perché anestetizzati (nel nostro stesso istinto di sopravvivenza, si legga Avere o essere di Fromm per questo).

E il linguaggio, il cosa e il come scriviamo, testimonia tutto questo.

In absentia fornirà un piccolo tassello alla discussione? Non lo so. Qualche plauso nelle letture private per chiedere consiglio l’ho avuto. E da persone che stimo molto. Ma mi rendo conto l’opera possa apparire particolarmente indigesta.

Ripete ossessivamente alcuni elementi? Assolutamente si (ma in fondo già nel Condominio):

La ragazzina chiede il motivo

della pioggia dopo il ponte.

Non sa nulla di ieri.

Il sapere è una finestra

accesa di lontano.

La ragazzina al locale dopo

il gesto di spegnere il caffè

sciogliendoci lo zucchero.

Non pioverà nemmeno oggi

sulla tratta franco-tedesca.

È troppo frammentata, troppo strappata nel suo tessuto? Lo so bene e l’ho voluto perché è questo che sento essere l’uomo contemporaneo. Il linguaggio poetico non deve essere un vestito ma l’aderenza stessa dell’uomo alla realtà.

È un’opera che non lascia spazio al lettore, come dice il buon Matteo Bianchi (di Matteo ho recensito l’ottimo La metà del letto qui e alcuni anni dopo qui, ma anche il suo Fortissimo, qui)? Anche questo è terribilmente vero e voluto (cos’è l’altro? Un oggetto, null’altro).

Gianmario Villalta dice che dovrei provare a perdermi per poi ritrovarmi, suggerendomi di non toccare più l’opera perché venuta bene (da poeta quale è, soprattutto in Dove sono gli anni (ne ho scritto qui, ma anche Federico Migliorati qui), sa bene quanto poco ci voglia a rovinare il fragile equilibrio di un’opera).

Fabio Pusterla (da leggere cosa ne scrive Federico Rossignoli qui ed Elisa Longo qui) scrive invece una mail che commuove:

Avevo messo le mani avanti, perché è davvero un periodo complicato. Però ho aperto il file, ho cominciato a leggere e non sono riuscito a smettere. Questa mattina ho ripreso la silloge e l’ho riletta ancora. Cosa posso dirle? Mi è piaciuta parecchio questa litania di poesie brevi e acuminate; mi è venuto in mente un vecchio testo di Sanguineti, che ricordo più per il titolo che per il contenuto, “Poesia della crudeltà”, o qualcosa del genere – con ovvio richiamo a Artaud e a tutto il resto -; e forse una volta mi sarei fermato qui. Ma adesso, insieme alla crudeltà, vedo anche la pietas, e mi sembra che proprio dal dialogo tra queste due polarità così diverse esca la musica principale di questi testi. Apprezzo anche lo stile scarnificato, che conserva ciò che davvero è necessario, e niente di più.

Gli fa eco Valerio Magrelli un anno fa:

L’ho letto e mi ha confermato nell’idea che mi ero fatta di una poesia radicata nel quotidiano, nella creaturalità. Insomma, mi sento in sintonia con la tua ricerca.

Sempre Valerio oggi (aggiorno questo articolo il 1 luglio 2023), all’avviso che il percorso di rielaborazione dell’opera è ormai terminato dopo diverse fasi di riscrittura e tagli:

La tua raccolta mi sembra molto intensa, al punto da superare l’idea stessa del “raccogliere” per presentarsi piuttosto come una specie di autentico poemetto metropolitano e quotidiano, venato dalla violenza della storia europea. Qua e là, si alzano moniti cruciali, in forma di aforisma: “Siamo borracce noi stessi / da cui qualcun altro beve”. Insomma, direi proprio che il viaggio della tua scrittura sia terminato.

Commento che ho discusso con gli amici Roberto Cescon (che è appena uscito con un bellissimo libro con Stampa 2009, lo stesso Editore del Condominio S.I.M. – la sua opera: Natura, qui, ma su Roberto ho anche scritto diverse volte tra le quali un’intervista, qui, e due recensioni sui suoi La direzione delle cose, qui, e Distacco del vitreo, qui) e il succitato Matteo Bianchi (tra l’altro con Roberto e Matteo condivido la redazione di pordenoneleggepoesia, ottimo sito che piano piano si sta facendo conoscere e apprezzare). Quest’ultimo, soprattutto:

è evidentemente un’opera estrema ed estremamente compatta nella coerenza dei toni con cui rendi formalmente le immagini

Così come Franco Buffoni, sempre gentilissimo e generoso (di cui mi sono occupato in riferimento a La linea del cielo qui, poi utilizzato da Giovanna Vivinetto nella sua Tesi di Laurea La poesia di Franco Buffoni dopo l’Oscar Mondadori (Poesie 1975-2012): da Jucci (2014) a La linea del cielo (2018) qui, ma anche nella preziosissima plaquette gratuita Aforismi ed Extempore Poems qui, senza dimenticare gli articoli su di lui di Carlo Ragliani qui e qui, di Fabrizio Bregoli qui, di Sandro Pecchiari qui):

Potresti mandarlo a Elisa Donzelli, per esempio, ma provare con lo stesso Maurizio per lo Specchio. O anche con Bersani. Insomma: per aspera ad astra… Un abbraccio e ancora complimenti.

Maurizio Cucchi (di cui mi sono occupato qui a proposito delo suo Sindrome del distacco e della tregua, e Mario Fresa qui) da ottimo editor quale è con il quale ho un grande debito di riconoscenza (per aver creduto fin da subito, anche se in versione ancora informe, nel Condominio S.I.M., anche in uno stravagante pranzo molto etilico a Milano che mi è costato, qualche ora dopo, un brutto litigio con un poeta più o meno giovane… un po’ devo ammettere per colpa mia), punta subito al sodo e chiede di accostare i testi per evitare un’eccessiva disseminazione. Ho letto perdizione, devo ammetterlo.

Sempre Maurizio Cucchi (e in linea con il continuo aggiornamento che sta vivendo questo articolo) nelle pagine di Repubblica (Milano) il 16 maggio 2022 proponeva in lettura alcuni testi scrivendo:

Ecco, da un’inedita sequenza più ampia, parti di un originale racconto autoironico centrato sull’insolita e sorprendente presenza di una paradossale e umilissima figura animale emblematica.

Un anno e qualcosa dopo gli fa eco Eugenio Lucrezi (di cui mi sono occupato io stesso con una Domanda al poeta qui) sempre nelle pagine di Repubblica (Napoli) scrivendo, il 15 luglio 2023:

L’osservatorio scelto da Canzian si muove per le strade come un’invisibile rete percettiva, tra le cui maglie restano catturati pezzi di vita che subito si fanno reperto, natura morta.

L’amica a cui voglio molto bene Giovanna Rosadini (di cui mi sono occupato più volte qui, e con recensioni più specifiche su Fioriture capovolte qui, e sull’intramontabile Il numero completo dei giorni qui) invece teme la necessità, pesante, delle note, per comprendere l’intreccio di citazioni su cui si poggia il libro (note alla fine eliminate tutte).

L’opera, lo ripeto, ha subito centinaia di strappi, di mutilazioni. Testi che un poco mi è dispiaciuto togliere ma che proprio non trovavano collocazione. Come questi (uno soprattutto, dove abitava un verso della cara Mary Barbara Tolusso tratto dal suo Apolide, ne ha scritto Vernalda Di Tanna qui e Mario Famularo qui):

I capelli raccolti in un rostro.

Dimmi che sono bella

prima che muoio.

La vita è un esercizio.

Eppure ci abbiamo creduto

al canto che residuava il mondo.

Una missione vera nella vita.

Non era scritto nella pietra

né in altra lingua conoscibile

il limite, panico, di Dio.

Tutto finisce in un canto.

Anche lo sguardo, distratto,

la sera quando ti togli le

lenti

e nessuno più ti vede.

Tutto finisce in un canto.

La storia, il linguaggio.

Il mondo è nemico al mondo

che pure avanza

come il tuo pianto la mattina.

Tutto finisce in un canto.

Anche il sapere, la fame,

la fede che pure esiste

non vista

sterminandosi il secolo.

Solo in due c’è salvezza

dice Magrelli non sapendo

che due è un numero sbagliato.

Dolcissimo il terrore

di vivere assieme

per un lentissimo abdicare.

Non so quindi che futuro avrà In absentia, ma sono certo che ieri ha trovato la sua chiusa, la sua forma definitiva tra un topo che è meno smarrito di Dio e una ragazza che assomiglia tanto all’Europa.

L’ultimo scritto è stato questo, ormai in incipit:

Hanno scoperto un materiale

più forte dell’acciaio

e più leggero dell’alluminio.

Un equilibrio, si può dire,

che l’uomo non raggiunge.

Una cosa sento abbastanza certa: In absentia è un’opera definitiva in sé, ma che fa parte di un libro più ampio che forse sarà il mio primo vero libro di poesia (ne ho scritto qualcosa qui). Su questo devo ammettere d’essermi dovuto scontrare (anche grazie a qualche suggerimento di Matteo Bianchi e Federico Rossignoli) con un’età ormai non più giovanissima ma che è.

Che forse permette l’idea di raccogliere 15 anni di versi in un’unica opera (e nemmeno tutti, e lasciando da perdere tutto ciò che è venuto prima)? Ha senso questa operazione? Me lo sono chiesto qui.

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