Il Parmenide – una prima bozza

Mentre In absentia (Interlinea, 2024) sta facendo il suo corso (QUI chi ne sta parlando) è veramente prematuro parlare di una nuova opera, o dell’idea di una nuova opera. Intanto ho ipotizzato questi versi legati a un mio vecchio amore, il Parmenide di Platone. Il focus forse può essere il cercare di capire cosa sia la vita, o meglio la vita di una persona, e in quanto tale l’atto del conoscere il fine di tutto.

Non del vivere, o del godersi ogni attimo, ma del subire la vita e subendola comprenderne le maglie, gli anfratti. Forse proprio quelle fessure che avevo incontrato in Olga (Olga veste sempre ben curata, / raffinata, fin nelle fessure. / Parla correntemente quattro / lingue, o cinque. È dalle / intercapedini del muro / che conosco la sua fede, quando / prega Dio con le ginocchia. – da Il Condominio S.I.M., Stampa2009, 2020).

Nessun riferimento a Exfanzia di Magrelli, sia chiaro, come invece più volte ho dichiarato per In absentia, nonostante il tema. Anzi Luzi qui mi diventa faro e direzione, anche se come in tutte le cose non so quanti incidenti e cadute potranno accadere.

La cosa che ho sempre più chiara, a 47 anni, è che sto scrivendo un libro, un libro solo, che partirà da In absentia, avrà Il Condominio S.I.M., i due miti accaduti nel mezzo e alla fine forse questo inizio che già dichiara d’essere una fine (appunto il Luzi).

Vedremo.

IL PARMENIDE

Un lombrico resiste all’inverno

mentre un odore di caffè percorre

chilometri di pioggia e sera.

Luzi avrebbe detto

questa canzone non ha più parole.

Così nel letto accartocciato

lo stomaco funziona male

lo stupor subentra per difesa

nella mente già corrotta.

Con il ginocchio esploso

e le stagioni di pioggia

di limite tra uomo e uomo

non credo Dio possa esistere

pensa al cambio della flebo.

Nel volto sdentato d’un padre

non vede l’uomo nel letto

ma il proprio peccato di essere

mal di testa

in uno spreco di luce.

Il potassio nel sangue non basta

a questo subentra lo sgomento

il calo delle funzioni fisiologiche

complesse

solo il cuore, per sbaglio

Nella stanza d’ospedale un punto

dove nessuno più guarda

un rifiuto doloroso

una volta chiamato Dio.

Aveva fatto del suo meglio

pur non essendo abbastanza

aveva ricevuto di meno.

È solo un uomo accartocciato

che riflette la pena di vivere

«non è nemmeno tuo padre

non capisco perché lo vai a trovare».

Poteva fare meglio? Si, e anche peggio.

Qualcuno lo viene a trovare?

Poco, e solo al bisogno

«Speriamo muoia più tardi

non ho soldi per il funerale».

Si sentono le ossa all’abbraccio

la pelle che cede

parlare un lusso dimenticato.

Domani faranno la barba

ai morti.

È stufo di vivere, eppure resiste

dalla cartella clinica

non se ne capisce il motivo.

I corpi di una volta erano forti

migliaia di chilometri al giorno

si spezzavano solo in guerra.

Ultimo giorno d’ospedale

in una pioggia di febbraio.

È questa la sorte degli uomini

un’estate sola.

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