Un articolo di Lorenzo Allegrini
Scontri carestie epidemie massacri
Traffici d’armi paradisi fiscali riciclaggi
Terrorismo su scala planetaria.
Mio padre mi ha mandato
All’incontro della storia
Con gli scudi e i paraphernalia,
E io mando voi
Profughe alla stazione
Tra i soldati che discutono
Sul rancio per chi resta.
Era il 2005 quando, tra le pagine di Guerra (Mondadori), Franco Buffoni scriveva questi versi. Il poeta raccontava di avere trovato, nel 1995, un diario del padre scritto su cartine da tabacco risalente al 1943-45, quando era prigioniero in un campo di concentramento del Reich. Un ritrovamento e una conseguente riflessione sul tema che avrebbe intersecato il crollo delle Torri Gemelle (2001) – vero momento di rottura della faglia storica verso l’era dei conflitti “giusti” – e la conseguente invasione dell’Afghanistan (guerra al Terrorismo) da parte di Stati Uniti e paesi alleati. A cui fecero seguito, tra le altre cose, l’invasione dell’Iraq (2003), la strage di Madrid e la battaglia di Fallujah (2004).
A distanza di quasi vent’anni che hanno visto crescere e riaccendersi conflitti e nazionalismi esasperati, escono, tra gli altri, due libri che sembrano voler riprendere quelle stesse istanze. L’attualità della guerra, che si è nel frattempo drammaticamente “normalizzata” (tanto che l’Ue, nata nel secondo dopoguerra per garantire la pace, discute di un piano di riarmo da 800 miliardi di euro), impone oggi di sovrapporre i piani temporali per una coesistenza simultanea di passato e presente non più all’insegna (prevalente) dell’accaduto, ma focalizzandosi su ciò che accade, sugli echi di guerra che da ogni smartphone ci arrivano quotidianamente (siano essi dall’Ucraina o dalla Striscia di Gaza, quanto dalla semplice terminologia che vuole la “Guerra commerciale dei Dazi” a pochi anni da un altrettanto bellico “coprifuoco” in periodo pandemico). O addirittura in ciò che potrebbe accadere, o che accadrà; difatti è pertinenza della poesia interpretare a fondo il proprio tempo e, talvolta, confessarne il futuro. Anche quando esso non solo teme, ma sembra attendere, direi accettare, con il fiato sospeso, la possibilità catastrofica di un nuovo terribile conflitto globale.

Un giorno di guerra di Sonia Gentili (Aragno Editore, 2024) ci precipita in questa normalizzazione e sigla lo status di guerra come una definizione fondante e terribilmente archetipica dell’essere umano. Una realtà con la quale è necessario confrontarsi fin dal principio (dall’Alba), e che viene introdotta quasi immediatamente, nella seconda sezione Guerra, non solo come combattimento esplicito, ma anche come camion che al mattino ci vengono minacciosamente incontro:
Il tuono ha respirato
e siamo morti. Quando il lampo
ha illuminato il tempo non c’erano più occhi
e il mondo è apparso. Era un bosco
che stormiva. La luce ha attraversato
le sue acque e sulla riva
è nata la foresta
delle albe. Alberi: istanti
secolari dell’inizio.
*
Un soldato arabo ha
sparato. Sua madre era il deserto
o il disertore che ci si era
perso. Suo padre era il pallore ogni notte
diverso delle lune tenui di crepuscolo. Vegliava
cangiante e sconosciuto sui suoi
passi lungo i muri bassi dell’esistenza
araba
un soldato pallido ha
sparato. Ibn
sharmuta ha detto l’altro cadendo e lui
non ha fiatato.
*
Sei e quarantacinque. Prima
del buongiorno, quando nessuno ha
ancora augurato niente a nessuno, nella
verità del cemento non truccato
della tangenziale, l’hai visto correre
nudo contro i camion
era pazzo, fatto di fentanyl,
drogato, non capiva il senso
del buongiorno, era
condannato
oppure era ognuno
addormentato
svegliato e sparato nudo
dal mattino
contro il suo piccolo
Destino.

A ridosso del 2025, invece, è uscito In absentia di Alessandro Canzian (Interlinea), opera che ha un incipit tanto schematico quanto esplicito: «Ha tutti i denti rotti / come un vecchio di montagna / sotto i bombardamenti / non ha senso chiedersi la fine», che continua nel secondo testo cuscinetto tra le sezioni: «Si dice fuoco amico quando / i colpi arrivano da dietro / come le estati in campagna / per vivere serve una speranza / sopravvissuta per sbaglio». È nella sezione centrale dell’opera, Sul fondo (ricavato proprio dal primo titolo scelto da Primo Levi per Se questo è un uomo, come argomenta Martin Rueff nella nota critica), che la guerra viene trattata da un punto di vista interno che prescinde da vittime e carnefici, da assaliti e assalitori per una pavesiana pietà per l’essere umano in quanto tale. Ciò che livella gli uomini in Canzian non è la morte, ma la certezza della morte che arriverà; è la comprensione dell’essere tutti vittime della storia sino a ipotizzare la diserzione, allineandosi volontariamente e dichiaratamente ai buffoniani «Soldati che discutono / Sul rancio per chi resta». In Canzian la guerra non è una scelta, bensì un orrore consapevole più grande dell’essere umano stesso, che ha come unica consolazione la morte. Una fragilità costitutiva che, similmente a Buffoni e Gentili, allinea i piani temporali sovrapponendo la recente invasione dell’Ucraina (2022) con l’invasione della Polonia (1939), la strage di Makiïvka (2023) con le battaglie di Tripoli (1911) e Leningrado (1941). Se la guerra in Gentili è uno status esistenziale, in Canzian è più uno status radicato nella cultura dell’Occidente. Non a caso, i testi della prima sezione (Minimalia) descrivono dei quadretti urbani dettati dalla precarietà e (non di rado) da un senso di inutilità, precipitando nell’ossessiva descrizione di un personaggio (tratto distintivo dell’autore) che rappresenta l’Europa e che, dal fortiniano «estate dei rospi e dei cani», conclude perentoriamente con «la storia accade / ma non se ne ha memoria».
In fondo non sono differenti
da noi in quello che non hanno.
Non la vita, necessariamente.
*
Lasciato il budello
del fronte di Dio
forse dovremmo andare con loro?
Non penso cambierebbe la storia.
*
La scheggia incarnita nella schiena
ti farà cancrena e morirai
tra un paio di mesi al massimo.
Pensi Dio ci abbia dato scelta
di vivere e combattere?
*
Hanno spianato per chilometri
qualunque cosa viva
alberi compresi.
Conta quanti loro morti
valgono uno dei nostri
*
Lasciata la ragazza a terra
senza jeans e maglietta e il resto
della notte a venire
con la pancia scoperchiata
sembra una libertà.