In absentia su Poesia del Nostro Tempo

Due poeti in dialogo tra presenza e assenza | Bianchi e Canzian

Matteo Bianchi e Alessandro Canzian sono poeti di lungo corso, legati da un dialogo che nel tempo è diventato un vero laboratorio di pensiero e di linguaggio. Da anni collaborano in seno al Festival Letterario pordenonelegge e alla casa editrice Samuele Editore: Bianchi è infatti il direttore responsabile di Laboratori Critici, rivista semestrale di critica letteraria pubblicata dalla Samuele Editore, di proprietà di Canzian. Due voci che si intrecciano non solo nella pratica editoriale e nell’amicizia intellettuale, ma anche nell’immaginario: e che si ritroveranno, in questi giorni, a Milano, per proseguire dal vivo il loro dialogo attorno alla poesia e alle sue forme.

In Cristopher (Interlinea, 2025) Matteo Bianchi costruisce un testo ibrido, una tessitura di versi, prose e frammenti diaristici che fanno emergere tre figure – Christopher Channing, Roberto Pazzi, Napoleone Bonaparte – accomunate dal fascino decadente e dall’irriducibile fragilità. Tra la Parigi queer di Montmartre, l’ospedale in cui Pazzi chiude la propria parabola e l’Elba dell’esilio napoleonico, la poesia attraversa quattro soglie – del sé, dell’amore, dell’inappartenenza, della memoria – per interrogare la verità del vivere; verità è infatti un termine chiave della raccolta e sembra inerire alla personalità e alla percezione del sé, al giusto incastro dell’individuo nel mondo. In Bianchi la parola è verità in quanto è atto di ricomposizione dei frammenti nella precarietà del tempo.

Alessandro Canzian, al contrario, scruta l’epoca nella sua dissolvenza. In In absentia (Interlinea, 2025) la poesia diventa strumento di registrazione del vuoto e del crollo di un mondo. Nel volume Canzian intercetta, infatti, la chiusura di un’epoca («Alle cinque un odore acre / di caldo che avanza. / Un bacio. Fatti il segno / della croce, Silvio» cf. p. 13) e il protrarsi di una guerra, quella russo-ucraina, che è ancora massacro, è ancora sangue e silenzio («La ragazzina scorre disinvolta / i giardini di tutta Europa. / E Ucraina e Polonia. / La vita è sopravvalutata», cf. p. 26). In questa congiuntura storica così greve, il grande assente è proprio Dio cui è rivolta l’ultima delle tre sezioni del volume (MinimaliaSul fondoIn absentia): un Dio ubriaco, vendicativo e geloso, un Dio che ha vaghi ricordi di cosa sia il bene. Un Dio che, nella Genesi rivista da Canzian, passa le giornate della creazione «in un silenzio attonito» nel «rumore dell’ universo» e mai riposa (il settimo giorno non esiste nella raccolta)

Bianchi e Canzian si rivolgono all’essere umano nel momento in cui perde forma, sulla soglia fra presenza e scomparsa. In entrambi, l’abbandono dell’attenzione alle cose materiali diventa un osservare per testimoniare senza possedere, né redimere. Il centro è l’individuo come fulcro di resistenza: in Bianchi, la cura e la pietà, in Canzian la registrazione impassibile degli interstizi dell’assenza. Che sia memoria, oblio, o limite percettivo e conoscitivo consapevole, costruiscono un’etica dello sguardo che vuole riconoscere la persistenza del vivente.

Claudia Mirrione

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