In absentia su Satisfiction

Finalmente ricevo il libro dopo più di due settimane dal suo invio.
Non ricordo nemmeno il colore della busta, solo la carta cerulea della copertina piacevole al tatto.
Lo infilo nella borsa assieme a quello appena pubblicato di Patti Smith.

Aspettando Samuel fuori dalla scuola lo estraggo e lo prendo tra le mani. La mia è la copia 109 di 333. In numerologia quest’ultimo numero significa incoraggiamento e sostegno nelle situazioni difficili… “Ne abbiamo bisogno” penso, “Ne avrei bisogno anche io”.
D’altronde l’arte è una situazione estremamente difficile, una questione di vita e morte costante, la lotta per far rimanere vivo il desiderio e la potenza del tuo io. Reminiscenze nietzschiane o qualcosa di differente?
L’io che crea libero dal sistema…

Il sistema è potente, mostruosamente insinuato in ogni angolo del nostro cervello tanto da confonderci, condizionarci al punto di farci credere che quel che facciamo lo facciamo per libera scelta.
Io lo so, la maggior parte di quel che faccio è frutto del sistema ed è per questo che parte del mio lavoro è distruggere quel che faccio e quel che mi viene troppo facilmente o naturale, affinché la distruzione e la negazione possano far nascere come per caso qualche cosa di diverso.
Abbiamo tutti bisogno di sostegno in questa guerra durissima tra il nostro io e l’omologazione.

L’arte è una questione di vita o di morte.

Sfoglio velocemente le pagine e la prima cosa che noto è il vuoto. Pagine bianche di grande silenzio. Amo le pagine vuote e già mi sento bene. Il vuoto è pensiero, il vuoto è immaginazione, il vuoto è l’esterno della parola, quel che la parola suggerisce al di fuori di se stessa ed al suo significato vincolante.
Mi rimane in mente “dietro.”
“Dietro” ha un senso compiuto ma se penso a “dietro” nell’indeterminatezza delle immagini che vorticano nella mia testa, intravvedo una casa, un corpo, penso a quello spazio meraviglioso che si forma tra le creste iliache dove le fasce toraco-lombari scompaiono nell’inserzione dei glutei. La mia mente ricorda la mano scivolare sulla pelle liscia. È solo un istante, poi l’immagine viene sostituita dalla domanda di cosa c’è dietro la parola.

E mentre ci rifletto Samuel esce dal cancello e la vita continua, devo portarlo a tagliare i capelli.
Dal parrucchiere mentre aspettiamo sul divanetto di velluto nero circondati da teschi di animali vari con corna o meno inseriti in cornici oro su una parete grigio-bluastra, riprendo il libro ed inizio a leggerlo. Si apre con delle quartine, una per pagina.
“Voglio bene alla mamma come alla morte” scrive ad un certo punto, se non ricordo male era una bambina che cantava.
È un libro di immagini, ricordi fumosi. Sembrano lontani nella memoria e forse nella storia un po’ come le “calze smagliate e le unghie scolorite”. Parla di guerra, quelle guerre dimenticate e annichilite dentro ai libri di storia, parla di uomini ombre di una memoria da anziano.

Memorie…
Conosco Alessandro, non so se posso dire bene, ma l’ho sempre vissuto come un uomo dentro al presente. Il presente che è punto d’arrivo del passato, ma questo sembra un passato che né io né lui abbiamo vissuto. Io non riesco a parlare di qualcosa che non mi ha toccato in prima persona, lui sì.
Mi chiedo perché, cos’abbia visto, con chi abbia parlato. Intuisco che dietro alle sue parole c’è qualcosa. Non basta l’allusione a Makiivka per trasportare tutto nel presente e le domande che vengono poste aleggiano in un’aria surreale come fossero eterne ed immutabili. Forse è il passato che si ripresenta oggi uguale, seppur diverso, come allora? È forse questa l’eternità che annichila ogni idea di progresso?

Paolo Maggis

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