La donna

 

In questi giorni mi sto lasciando andare a qualche riflessione devo ammettere un po’ malinconica su diversi temi. La lentezza, la dolcezza, l’empatia, l’amore, l’eros. Oggi è la festa della donna ed è quasi tradizione per me riproporre alcuni versi di donne tratti dai libri che pubblico come Samuele Editore.

Fare una riflessione sulla donna oggi non è semplice. Gli esseri umani di questa nostra parte del mondo (a dire il vero molto piccola ma capace di molti danni) sono tornati ad avere voglia di scontrarsi, di mandarsi al macello. La costruzione di un linguaggio, cosa fondamentale e sintomatica del pensiero, si è talmente abbassata da voler vedere solo il bianco e il nero e tutto ciò che sta in mezzo va necessariamente estremizzato, portato nel bianco o nel nero. Gli esseri umani oggi vogliono essere o una cosa o l’agguerrito opposto di qualcos’altro.

Questo porta a delle divisioni che anche la donna ha vissuto recentemente. Perché è facile parlare di violenza contro le donne, di #metoo e quant’altro alzando bandiere e barricate senza vedere quanto tutto questo, importante e necessario di fondo, sia veicolato da una propaganda che nulla ha a che fare col problema stesso.

Sfoglio la home di Facebook per un istante prima di iniziare a lavorare e leggo queste due cose:

Oggi è una ricorrenza. Commemoriamo la perdita di 129 donne operaie morte durante un incendio a New York. Palline gialle di fiori sono diventate il simbolo, non di una ricorrenza, ma di una festa. La Festa della Donna. Il 6 Dicembre del 1907 nella miniera di Monongah muoiono 435 uomini. La ricorrenza è stata solo catalogata su Wikipedia. Nessun fiore è diventato il simbolo di questa tragedia. Nessuna festa dell’Uomo è stata proclamata.

Niente fiori, ma opere! Oggi è il giorno dedicato alla ‘memoria’ della Donna e non è la sua ‘festa’! Quindi, non si accettano auguri o mimose; qui solo rispetto e amore.

Sono ambedue donne e sembrano dire la medesima cosa. Ma mentre trovo il primo misurato e intelligente, nel secondo trovo un epilogo apparentemente ovvio e condivisibile ma fondamentalmente strillante e vuoto. Da una cara amica triestina che ha vissuto e ha fatto la storia del femminismo in Italia ho imparato che non tutto il femminismo è femminismo, che le contraddizioni esistono, e non potrei essere più d’accordo. Un altro caro amico mi insegna che dobbiamo essere pari ma non uguali. La parità contempla le differenze e si basa su un rispetto dato all’altro, non solo preteso. Alla mia generazione hanno insegnato (preparandoci all’abisso in cui ci avrebbero abbandonato) che non abbiamo diritti ma solo doveri. Perché è inutile pretendere rispetto a parole quando poi il tuo stesso comportamento è egotico e fagocitante gli altri, senza rispetto.

Ma questo comportamento si badi bene non ha sesso, Non è maschio né femmina ma si inserisce all’interno del concetto di propaganda che allontana gli esseri umani. E porta verso quell’inutile indignazione espansa che serve solo a sentirsi migliori di prima di andare a guardare L’isola dei famosi.

Ovviamente non posso dire cosa sia una donna non essendolo. Posso dire, dopo aver conosciuto diverse persone a causa del mio lavoro, cosa immagino sia una donna. Ponendo che ancora mi fa simpatia il concetto di donna angelicata che ci hanno insegnato secoli fa e al quale perfino Montale faceva l’occhiolino, e che ho passato l’adolescenza sul mito di Ligeia Morella e Berenice di Poe solo molto più tardi capendone il dato distruttivo.

La donna per me è accoglienza, gentilezza. Per fare casi concreti ho un’amica che è sempre molto critica nei miei confronti, a volte devo ammettere fino allo sfinimento, e non sempre condivido ogni sua critica. Una persona emozionale che però ha l’intelligenza di tornare indietro nei suoi passi, di insegnare (ha molto da insegnare) ma di lasciare anche le porte dell’intelletto aperte a imparare (quel pochissimo che insomma le si può ancora dare). Un’altra amica invece ha un connotato molto particolare che è la pazienza. Quella pazienza che non ti etichetta ma comprende i motivi della severità e talvolta della stanchezza. Una persona del genere finisce col diventare un bel dialogo surreale e quando ride perché le dici delle cose assurde ti fa stare bene, capisci che pazienza e sorriso sono strettamente collegati, e che la stessa pazienza non è sopportazione ma rielaborazione.

Un’altra carissima amica ha invece il connotato della bontà. Che in qualche modo riassume gentilezza e pazienza ma con una sfumatura quasi materna, quasi fisica. In questo caso la donna è empatia. Certo devo ammettere che ho altrettanti e forse più esempi negativi, ma come è ben noto essendo noi appena un poco più intelligenti dei gatti è nostro dovere trovare le cose positive, dimenticando quelle negative.

Ecco, questi sono a grandi linee gli esempi che ho per dire cosa sia una donna, o meglio cosa ho imparato essere una donna (che poi si declina nelle varie sfaccettature di poeta o poetessa, di imprenditrice, di casalinga, di mamma o nonna o amica, di studentessa eccetera eccetera eccetera ma che non tutte le donne hanno, nel senso che non basta essere donna di natura per essere così, è una potenzialità che forse all’uomo è un po’ più preclusa a favore di altro). Apertura, accoglienza, pazienza, gentilezza, empatia, bontà, cura. Con accenni classici di incostanza, ansia, di cortocircuiti, di insicurezze. Perché nemmeno gli angeli sono perfetti, ma degli angeli abbiamo bisogno per diventare un poco migliori anche noi.

Ecco di seguito alcuni dei testi pubblicati nella Collana Scilla della Samuele Editore. Di donne ovviamente. E buona festa a tutte.

 
 
 
 
6 luglio 2016
 
la lacrima lungo l’angolo
sinistro il passaggio, ogni
giorno riscorre il tuo andare
nel mio occhio in prestito
 
che poi cosa vuoi che sia,
la vita non è tutto
 
Monica Guerra
Sulla soglia
 
 
 
 
Male e Maggio
 
Lo scarafaggio nel vaso
non si muoveva più.
Non credo fosse per intuizione da saggio,
forse per fatica di vecchio, verificò inutile
quel lambiccarsi a caso
su pareti di specchio.
 
Non combaciavano però
male e Maggio
e gustando il gioco di Dio
rovesciai la sua prigione
nel dubbio se fosse bene
la mia ragione
o meglio il suo indugio.
Certo non fu per i suoi occhi
(bastavano i miei di pietra)
ma per il corrispettivo che c’era
troppo vivo, con me e la mia galera.
 
Daniela Turchetto
Non ti scrivo da solo
 
 
 
 
Solo il respiro dura per sempre:
graffio divino
si trasforma in cenere
e risorge –
 
Si piega scindendo il desiderio
in due come una pesca; e la fiamma
diviene bacio sulle membra, singhiozzo,
e poi foglia alla balìa del vento.
 
Solo il respiro dura per sempre:
tempo delle cose
sempre variato e sempre lo stesso
contro l’agguato volubile del nulla –
 
Nutre le fonti ambivalenti del pensiero
scivolando sull’acqua
delle circostanze imprevedibili
fino a che non si placa nell’interiorità
propria del sonno
 
e diventa leggero, con un peso
umano.
 
Rosa Salvia
Il giardino dell’attesa
 
 
 
 
Togliti quel peso dagli occhi
 
Togliti quel peso dagli occhi
Il tavolo nel bosco è fiorito
come un cavallo pazzo
 
L’erba cresce nuda
cresce e affonda
 
Il fiume scioglie i capelli
allarga la fronte azzurra
guarda il cielo e dice
non sostare, è la ghiaia che conta
le colline, i depositi
le conchiglie frantumate
il più piccolo ciottolo
che la corrente trascina.
 
Barbara Vuano
Il tempo ti guarda scorrere
 
 
 
 
Ora è un giorno buono per filare
la gioia. Per fare del corpo un modo
di desiderare le cose, di tessere
la frattura col prossimo abbandono.
Di uscire coi calzini spaiati
sulla ghiaia e sentirsi sicura
che si apre un portone di fronte
a favorire le distanze.
 
Laura De Beni
La grammatica dei piedi
 
 
 
 
Partecipo al destino della materia
provo il mondo mi sta stretto
cammino fra pagine di fuoco a piedi nudi
 
l’attesa è desiderio incarnato
vertigine invisibile il passato
inopportuno il rumore del tempo
 
il funambolo alchemico origina dall’intimità
della luce, interpreta il dominio delle ali
saccheggia la fine in terra sconsacrata
 
è necessario il sangue, lo confesso
resto in carica, estranea, elevata al consenso
senza argomenti per allargare il vero
 
volo ancora nel mio atomo aereo
non è vero, forse, che possiamo intonare il mare?
Vieni, riposa nella mia tempesta
 
ti aspetto nel sonoro millimetro d’assenza condivisa
la chioma senza campo magnetico
computo della mia leggerezza millenaria
 
Flaminia Cruciani
Piano di evacuazione
 
 
 
 
Si sperde così a volte il mio corpo,
si frantuma in terre spietate
e non sa più come respirare,
come spaventarsi, come
in quale lingua forsennata
gridare, e solo gridare.
 
Mara Donat
Schianti a sconfine
 
 
 
 
Ed era come se avessero
davvero importanza i discorsi
sulle cose comuni di ogni
giorno. Sui figli i nipoti
sulle solite scadenze, sui mariti
e quante fossero le galline nell’orto
del vicino di casa e i colombi,
o la primavera fuori che fresca
premeva insistente dai vetri.
 
Ieri al lago – quieta mi dici – ho visto
i cigni. – Ah sei uscita, brava!
Un po’ d’aria ti fa bene –.
E sai, penso di tornare
nella mia vecchia casa, qui,
per l’estate intanto, poi vedremo
 
Maria Milena Priviero
Da capo al fine
 
 
 
 
Quel che prospettavo
 
Quel che prospettavo era un ritmo cadenzato
di giorni dissimili dagli altri
identici fra loro, dove la tua assenza
era il sonno accanto al mio.
Dopo il pianto la noia, il richiamo vuoto.
 
Rachele Bertelli
Prospettiva insonne
 
 
 
 
Lo splendore della solitudine
 
C’è splendore nella solitudine
e il disorientamento è un suono.
Lo schiaffo ricevuto da un’intima folla
è ciò che resta di una serata iniziata con grande attesa.
 
Reminescenze alzano un recinto
e segnano il contorno che sfugge alla saturazione.
Dentro la pienezza, dentro la vastità.
 
Perché la periferia è un non luogo, un passaggio attraverso
che mantiene il bordo mentre ogni cosa converge.
 
Ti prego, decentralizza questo malessere.
 
Ilaria Boffa
Periferie
 
 
 
 
sperimentiamo ogni giorno
come stiamo al mondo
tentando strade
che non arrivano
nei luoghi cercati
ma non è inutile il percorso
se schiude l’attimo incompiuto
se germina dalle prove
il tempo che trasforma
 
Gabriella Musetti
La manutenzione dei sentimenti
 
 
 
 
non è il tempo che passa
sei tu che passi
da giardino a sera
attraversando
navighi a vista
timorosa d’abisso
incerta d’infinito
tra velari di stanze
distese di papaveri sognate
araldici silenzi
 
e all’improvviso non è più il tuo tempo
non è più la stagione
altri volti altri quadri alle pareti
e il rintocco ovattato della sera
 
Marina Giovannelli
Il libro della memoria e dell’oblio
 
 
 
 
Tornava la rondine al tetto
 
Il nido alto sotto la tegola
pigolava fame ogni primavera
e voli liberi di cielo
un ritorno dall’esilio
che da anni ripeteva casa
di fieno e paglie fresche aggiunte
Mistero e stupore la memoria del ritorno
l’impulso del volo per rincasare
chissà se del padre o del giovane rondinotto
 
Però
tutti gli escrementi cadevano dal tetto
davanti al porticato tra il rosa viola
delle surfinie: sterchi e tante chiazze scure
un grigio tenace che neppure la pioggia
slegava tra le fessure
E allora un bel colpo secco di scopa
che a terra frantuma l’intreccio
semplice e complesso del nido
Poi resta tutto pulito, terso di fiori e colori
 
Aria fine di marzo. Primavera
ripete il germoglio sul seme del prato
e la viola tra gli sterpi
Arrivano ancora le rondini
Una festa il garrulo ritorno
ali diramate al vento e gran cerchi
nei pressi del sottotetto
a dire ciò che non si vede
Girano girano
si posano sul tetto stranite
due attimi, cercano ancora
un altro giro poco remissivo
ma poi guadagnano il volo via
lontano con il resto del vento
portandosi sulle ali la mia nostalgia
 
Ed io rimango lì sola senza primavera
il disincanto nel cuore
con tra le mani la liturgia di una scopa
 
Rosanna Cracco
Semplice complesso
 
 
 
 
Tè Canasta
 

– Che succede Letty, mi sembri preoccupata – disse Elsa alla sua amica mentre giocavano a canasta sorseggiando del caffè.
– Non è cosa da poco, cara – Letty alzò lo sguardo e scrutò le altre, una per una –, qualche giorno fa ho ingaggiato un killer perché sparasse a quella sciacquetta che va in giro con mio marito e il deficiente si è sbagliato e ha fatto fuori sua sorella.
– Che cosa orribile – disse Elenita senza alzare lo sguardo dalle carte.
– Voi che dite – Letty fece una pausa –, lo pago o no?

 
Claribel Alegría
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