La cura

 

Oggi, come spesso accade da qualche settimana a questa parte, ho proposto agli amici di facebook di inviarmi loro poesie su un tema. Oggi era la cura. Per capire insieme di cosa si tratta, cosa intendiamo quando ne parliamo.

Nel post su facebook ho dichiarato subito il significato che intendo in questo specifico frangente. E deriva da una chiacchierata fatta dopo un incontro di lavoro alcuni giorni fa. Che più o meno faceva così: Senti, ma tu mi vuoi imbrogliare?No, io no. E tu?

Il dialogo, apparentemente banale, mi ha fatto venire in mente due pianeti che hanno voglia di girare attorno a un unico centro, ma con la paura di scontrarsi. Perché ci sono storie all’interno di quei pianeti, ci sono vite, tempi.

Ho trovato che il dirsi io non ti voglio imbrogliare fosse appunto un prendersi cura dell’altro. E allora mi sono chiesto cosa volesse dire questo prendersi cura, a prescindere dal caso da cui ero partito.

Credo significhi perdere un po’ di se stessi, delle proprie convinzioni, certezze, orgogli, per considerare l’altro, lo spazio e il tempo dell’altro. L’identità dell’altro. Assumendone in qualche modo piccoli pezzi, piccole storie.

E questo inevitabilmente va a intrecciarsi con l’altro significato di cura, quello più prettamente fisico e/o legato a una situazione anomala, malata. Prendersi cura delle altre persone, non specificatamente di una sola persona ma degli altri, significa un po’ porsi come eventuale lenimento, medicina, per la vita altrui.

Perché da qualunque punto la vogliamo prendere la questione è sempre una: quei due pianeti che girano attorno allo stesso centro possono anche essere malati al loro interno, possono ricevere farmaci o quant’altro, ma la vera cura resta e resterà sempre il girare assieme attorno al medesimo centro. La compresenza dell’altro.

Per questo siamo animali sociali incapaci di restare soli. Ed è per questo che, come società, stiamo morendo. Perché abbiamo imboccato una strada di conflitti di genere, di cultura, di colore, di provenienza, che non può far altro che farci diventare sempre più soli, più isolati.

Ecco dunque le poesie raccolte oggi. Grazie a tutti, e buona lettura.

 
 
 
 
 
 
Nell’ora del male e della condanna
non possono salvarci le tortuose
linee della vita e della fortuna
o dell’amore
ché il destino non pone condizioni:
incide le sue leggi sulle mani
e nell’iride
ed in ogni parte del nostro corpo
ma non sulla lingua così che ancora
inganni il tempo e, per pietà, gli menta.
 
Alfredo Rienzi
in Simmetrie (Joker, 2000)
 
 
 
 
 
 
La mia cura perenne
 
Ti trovo, oltre le aspettative, da infermiera,
per tutte le nostre vite, a debellare, con le
iniezioni, la mia sclerosi multipla che resta
sull’orlo dell’agguato, perennemente, come
un amore scaduto da fin troppo tempo e tu
mi salvi, ogni volta, con cura d’immagine.
 
Massimo Palladino
 
 
 
 
 
 
Rammendi
 
Avrei dovuto ascoltarti
di più’ forse e ogni volta
stupirmi di un qualcosa
di inedito, di diverso.
Delle pieghe, ad esempio,
del bucato che lisciavi
col calore unico delle mani.
O dell’ago che passavi
e ripassavi nei calzini.
(anacronistici rammendi)
E un punto dopo l’altro
intessevi il tuo inverno
e di traverso un ritornello.
Tu, non hai tempo.
 
Maria Milena Priviero
 
 
 
 
 
 
17/03/2018
 
Ti cerco un pomeriggio
rotto al centro commerciale
Ho finito le pastiglie
in cui confidare nell’assalto
kamikaze del passato
In preda alla vertigine del niente
invoco i numi tutelari:
Hiroshi, Pollon, Harlock
Lamu datemi la polverina magica
della felicità, la forza di volare
un cuore d’acciaio resistente
perché anche la sofferenza
ha la data di scadenza
.
 
Matteo Piergigli
 
 
 
 
 
 
tredici anni, dico, e nemmeno una
parola. piuttosto parla il padre,
è arrivata questa a casa. la procura
della repubblica persegue una
bambina denunciata dalla madre.
maltrattamenti in famiglia, l’inizio
del reato corrisponde alla data
di nascita. voglio credere sia
una svista, certo, imperdonabile,
come l’espressione muta della piccola,
lontana da ogni cosa,
che appena muove il capo se le parlo.
del resto ogni parola sembra proprio
uno squilibrio, l’incanto del sistema
che costringe in uno scatto impersonale
di tagliola. io spero che qualcuno
le riservi una frattura da quest’ansa
di miseria. (al male non c’è cura)
 
Mario Famularo
 
 
 
 
 
 
non ho mai visto le mani di mia madre
in preghiera se non sulla fronte di un figlio
o nelle piccole guerre contro la polvere
in un bicchiere di latte. il suo cielo
è basso ai cardini nelle porte aperte
nell’acqua chiara mentre decide
se il cibo sulla tavola è sufficiente
è una religione di ore spese la sua
senza lirismo, da pescare nei cerchi
che portano a sera, da scrivere
sulle finestre bianche che dicono
la cura, senza tracce di ruggine
 
Annamaria Giannini
 
 
 
 
 
 
Non considerare guadagni e spese,
è un consiglio. Considera il bosco:
intreccia farmaci, sguinzaglia estese
radici a bere i quattro umori, il fosco
 
e la chiarità coltivano i rami
nelle mani di Clori. Ti sei perso?
Perché molto hai dato, e più terso
hai reso il tuo commiato
. Legnami
 
d’inverno, adesso, bruciano gli aromi
dell’estate, da quando il seme esiste,
– Il culto oltre marcescenze e linfomi. –
 
Il canto, la mano in questo consiste
da quando mi guidi, con voce e cenni,
nel sentiero degli alberi perenni.
 
Federico Rossignoli
 
 
 
 
 
 
bisogna aver cura dei silenzi
del corpo del proprio dell’altrui dolore
imparare ad ascoltare gli occhi
accesi di lunghe ciglia e di parole
cura della mano che accoglie
della mano che toglie
cura degli affetti donati
degli amori affondati
in oceani di paure
 
bisogna aver cura delle parole
dei sorrisi del proprio dell’altrui splendore
dei colori di un tramonto
delle fughe dal dolore
imparare nuove forme di sopravvivenza
per custodire un perduto amore
cura del corpo che duole
al ritiro nel covo caldo
cura di un acuto dolore
a saldare i cocci dell’inverno
cura del cuore che danza
a seminare petali di speranza
 
Verusca Costenaro
 
 
 
 
 
 
È sbocciata una rosa sulla pietra,
dura tra le gocce di settembre.
Dovrei prendermene cura,
proteggerla dalle mani dei bambini,
dai graffi del sole la mattina
come facevi coi cespugli sul balcone.
Invece non riesco a sostenere
lo sguardo dei suoi petali perfetti,
la precisione delle spine intorno
e resto con gli occhi fissi sul tuo nome
che neanche un fiore riesce a riscaldare.
 
Michele Paoletti
 
 
 
 
 
 
L’arazzo (Lazzaro)
 
Si rinasce alla vita
si riaprono gli occhi
nel buio tra le fasce
nel silenzio tombale
dove si nasconde il grillotalpa
 
Si esce dal freddo alla vita
perché si è stati chiamati.
 
Vieni fuori!!!
mi gridava tra le lacrime.
E quella fu l’unica volta
che lo videro piangere.
 
Piangeva per me o per lui?
Io ero steso
nel mio sudario
nel sepolcro
una fredda lastra di pietra
mi separava dalla Vita
dalla Luce.
 
Ma quando sentii la sua voce chiamarmi
mi rifluì nelle vene vive tutto il sangue.
Rinacqui al suo ineludibile richiamo.
 
E così fui di nuovo
colui che mangia e beve.
 
Molti anni più tardi
al mio crepuscolo
quando sentii
il viluppo della Morte nelle ossa
la sua tela bavosa
invischiarmi lentamente
 
ritornai al giorno
in cui ero risorto
e mentre mi accingevo
a varcare nuovamente
la soglia che separa luce ed ombra
 
in quel momento di commiato
con certezza compresi
che vivendo
capita di morire
anche due volte.
 
Lucia Guidorizzi
 
 
 
 
 
 
Come possiamo essere stati
cosi tanto arroganti
da pensare che il male
si potesse curare?
 
Pensavamo di essere qui
per celebrare una morte,
ed invece ne piangiamo due
.
 
È una pantomima,
che va avanti da anni
e dormono tutti
anche se gli incubi sono veri,
anche se gli incubi sono reali.
 
Sono le nostre nevrosi
a mantenere vivo il male :
i codici, le password, i nick da ricordare,
il passato duale, la meiosi, il binomio
naturale, la forbice per vivisezionare.
 
La vita si allarga nella vita,
come un secondo corpo da curare.
 
Giuseppe Scuderi
 
 
 
 
 
 
Canta che ti passa
diceva mio padre
 
Tenerezza e fiducia
di una mano leggera
 
e paura
di quello che dici
 
Un gelato davanti al mare
dei ricordi
 
nell’attesa
di una morte struggente
 
Ma io ho il sole
per te…
 
La cura
è cortesia dell’anima.
 
Alessandro Rossini
 
 
 
 
Sulle panche dei tuoi treni
 
Sulle gocce della sera
aspetto che tu torni,
sui rami disadorni
che sanno di panchina
su un treno che cammina
per certe mete rare,
su le favole amare
che ogni giorno ti racconto
e che sono quasi il vero:
sulla gente che mi guarda
con occhi di straniero.
 
Graziano Gala
 
 
 
 
 
 
La casa ad albero
 
Solo io sapevo
della mia casa ad albero
dei frutti appesi come quadri
a saziare assenze,
della scorza a lacrime di resina
di quanta forza
quando bussava il picchio.
All’occorrenza
(tu sarai sempre un’occorrenza)
ho svelato il segreto
come solo i bambini sanno fare
(senza volerlo).
Così ora sgorgano, si mescolano, nutrono
linfa, legno, miele, fogli sparsi e versi
a cascata su gradini, vetri, biforcazioni, rami,
dentro respiri di ciliegia.
Perfino l’aria è presenza.
Regge il tronco la sete del mondo.
 
Annalisa Rodeghiero
 
 
 
 
 
 
Isaia
 
Le pance senza figli
sono palloncini sgonfi, non volano.
Isaia, mi chiami ogni notte
dal cordone ombelicale,
mio figlio senza corpo, solo nome.
Reale, già vivo, già parli, quanti anni
prima del tuo compleanno.
Sempre mi chiedi di nascere
la mattina la mano trema.
I tuoi panni ancora da comprare,
lavare, stirare. Come vuoi
abitarmi, Isaia, nel mio ventre
rema, naviga tutte le acque
del mio corpo. Trova nel sangue
la traccia di tuo padre. Chiamalo,
anche a lui chiedi l’esistenza,
il miracolo della vita che si compie
se la cerchi innamorato nell’abbraccio.
Ti porterà sulle spalle, risponderà
alle tue domande segrete
come io ho cercato di fare.
Dare a te tutto quello che sono,
insegnarti come brillare, le cadute
necessarie per la luce, mostrarti
l’amore dove conduce.
 
Giulia Bravi
 
 
 
 
 
 
Gli uomini a farfalla
 
Li vedi in questi corridoi,
mentre rilasciano sorrisi bianchi
che già sembrano antichi;
volti scavati
fino all’iride degli occhi.
 
È il male che parla,
che ha appetito,
che macera dentro come foglie
e percuote nidi di ruggine
nel suo strenuo letargo.
 
Sono uomini come farfalle,
volano di parola in parola
… le parole degli altri…
di silenzio in silenzio,
nutrendosi del nettare di fiori di vetro,
che come spranghe di ferro,
rilasciano speranze
di primavere calde e sdentate
nel sangue.
 
Uomini a scomparsa
dietro paraventi di buio,
che non contano più
gli anni, i capelli,
le forze che pèrdono.
 
Uomini incerti
nell’essere crisalide
o in un riflesso d’ali,
possibilmente guerriere,
per la punica lotta
tra l’eco sordo di un tunnel
ed un centimetro di luce.
 
Gli uomini a farfalla
li vedi in queste camere
di vita a smarrire,
aggrappati
ad un chemioterapia
che ne prosciughi anche l’anima.
 
Alberto Barina
 
 
 
 
 
 
Nel frantumato spettro
di luce mi cerco
un amore che mi sia
dolorosa fitta: mi
 
cerco rappresa nel tuo
miele un’anima che mi
anneghi il respiro.
 
Infermo residuo è il mio
fiore sbocciato, reso carezza
e dolcemente odora
debito alla tua pelle.
 
Mentre io
sono la gracile sommossa
dagli umidi baci alle tue labbra:
cura tu mi resti e sussulto,
vibrazione del grumo
che mi abita il petto.
 
Vernalda Di Tanna
 
 
 
 
 
 

In questi giorni bianchi, tremendi e dolci, nelle ore dilatate di una piccola vita ancora viva e piena.
In questa ultima culla, ora, qui, ogni gesto si fa intero, le parole stanno al loro posto e l’atto, il rito ripetuto, nasce di volta in volta nuovo.
Il dolore ha un gusto dolce, delicato.
In questo tempo verticale tu torni indietro, ti riavvolgi, quasi scompari tra pieghe di lenzuola.
Ci chiedi scusa. Noi diventiamo grandi tutto d’improvviso, abbiamo braccia sane e schiene solo un poco appesantite.
Sono grata al mio lavoro: un cuscino morbido alla testa, l’altro a riempire l’incavo dei lombi, sempre più scavato.
Tu lasci fare e ascolti incredula la tua voce nuova, ma non è nuova, è solo quella di bambina.
Io faccio tanto e sento incredula la mia voce nuova, ma non è nuova, consola la bambina.
-Si, il comodino è in ordine, la coperta ben piegata, si, sei pettinata.
Tu lasci fare.
Ci perdoniamo tutti, interamente o in parte, oggi sappiamo farlo. Ci cureremo, interamente o in parte, ciascuno il pezzo suo.
Ti lasceremo andare, lo prometto, ma ora siamo qui, restiamo ancora un poco insieme.

 
Valeria Raimondi